Pensieri, Poesia, Racconti

Incipit

 12 gennaio 1939, Francoforte

Era una notte fredda e buia come la pece quando decisi di avventurarmi tra i sentieri della Foresta Nera. Oggi sono ormai passati una decina di anni ma il ricordo si fa spazio tra i miei pensieri e in un attimo vengo ricatapultato a quel momento: percepisco gli stessi sinistri suoni che regnavano nella boscaglia, il mio respiro affannoso e lo scalpitante battito del mio cuore. Forse il lettore si starà chiedendo perché mi trovassi in un luogo tanto lugubre subito dopo il crepuscolo; penso che la riposta più onesta e autentica che io possa offrire sia questa: sono una persona maledettamente curiosa e tra le mie passioni più nascoste possiamo trovare lo smodato interesse per le superstizioni e le credenze popolari.  Badate bene a un dettaglio però: per quanto io possa essere ficcanaso – e credetemi, lo sono eccome- non sono uno che si lascia intimidire dalle leggende del luogo e dalle voci locali. A quanto si diceva nel cuore della foresta si trovava un castello diroccato, dimora di una creatura mostruosa e ripugnante che si cibava delle sue vittime –giovani donne vergini e aitanti- subito dopo averle sgozzate o impiccate. Nessun abitante del luogo si era dato disponibile ad accompagnarmici ma comunque un uomo ebbro sulla sessantina e una lunga barba bianca era stato sufficientemente gentile da descrivermi il percorso più semplice da seguire per raggiungere il castello. Il mio lavoro sarebbe stato semplice: riportare fedelmente e nel modo più realistico possibile la descrizione della zona degli orrori con qualche fotografia; e-se fossi stato molto fortunato- al mio caporedattore sarebbero potute piacere e avrei scritto un articolo sensazionale che mi avrebbe fatto guadagnare la stima e il rispetto dei miei colleghi giornalisti. Già, forse mi sono dimenticato di evidenziare che all’epoca, quando ancora ero inconsapevole della veridicità di certe angoscianti storie, la mia massima aspirazione era diffondere tutto ciò che è reale. Ad ogni modo in seguito a questa esperienza mi accorsi di quanto fosse sottile la linea tra realtà e immaginazione. Comunque, ero ormai giunto alla fine del sentiero quando cominciai ad intravedere, al di là della coltre di nebbia, il maniero che si ergeva imponente su una brulla altura pietrosa. Mi ricordo come se fosse ieri la stanchezza e lo sfinimento che cominciarono ad impadronirsi del mio corpo ma il desiderio di continuare prevalse. Mi avvicinai a rilento alla fortezza e con cautela afferrai il mio armamentario fotografico: scattai prontamente qualche immagine mentre un vento gelido mi intimava di tornare indietro. Ostinatamente continuai a perseguire il mio proposito fino a quando non intravidi un’ombra terrificante muoversi in prossimità degli infissi. Incuriosito mi avvicinai al portone principale della rocca che trovai singolarmente aperto. Indeciso sul da farsi e cominciando a nutrire una certa sonnolenza pensai di tornare indietro ma istintivamente, come quasi non fossi più padrone del mio corpo, mi introdussi all’interno dell’edificio. Rimasi immediatamente stupefatto dalla maestosità della struttura che si manifestava dinanzi a me: un’imponente fortificazione medioevale con tracce di intonaco colorate ancora leggermente visibili, una sublime scala a chiocciola, decorazioni finemente scolpite sulle pareti e una sorta di focolare. Fu quest’ultimo dettaglio a risvegliare la mia attenzione; erano ancora presenti delle ceneri, come se qualcuno o qualcosa avesse acceso recentemente il caminetto. Un forte senso di smarrimento e sconcerto si fece sempre più spazio dentro di me fino quando non udii un guaito, dapprima attenuato come il piagnucolio di un bambino, che nel giro di qualche secondo si fece un grido insistente, lancinante e esasperato. Immediatamente mi voltai indietro e comincia a correre all’impazzata con il cuore in gola mentre l’adrenalina oscurava ogni mio tentativo di riportare alla realtà quello che era appena accaduto. Dopo aver percorso un paio di chilometri cominciai respirare a pieni polmoni e l’aria gelida mi entrò impetuosa nelle viscere, caddi in ginocchio ansimando e cominciai a prender coscienza di ciò che avevo visto –o per meglio dire- udito.

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